Per anni la domanda che guidava ogni strategia digitale era sempre la stessa: “Come possiamo vincere su Google?”. Una domanda legittima, visto che il motore di Mountain View è stato per oltre vent’anni sinonimo di ricerca online. Ma nel 2025 quella domanda non basta più. Anzi, rischia di essere fuorviante.
La nuova fotografia della ricerca in Italia ce la restituisce il report Omnichannel Search in Italy 2025 (fonte: Osservatorio Search in Italy, a cura di Marco Loguercio). Una ricerca che mette nero su bianco quello che molti marketer già intuivano: Google non è più il centro esclusivo delle scelte d’acquisto. L’ecosistema è più ampio, frammentato, conversazionale. E i brand devono ripensare radicalmente come farsi trovare.
In questo articolo entriamo nei dati chiave dello studio e li traduciamo in insight concreti per aziende e manager.
Gli utenti non vogliono un motore di ricerca. Non l’hanno mai voluto davvero. Quello che cercano sono risposte. Immediate, pertinenti, rassicuranti.
Il report parla chiaro: negli ultimi anni è esplosa la cosiddetta search fatigue. Troppa complessità, troppe informazioni frammentate, troppe tab aperte nel browser. Risultato? Dal 2017 al 2023 il tempo medio tra la scoperta di un prodotto e l’acquisto è aumentato del 30%.
In altre parole: decidiamo più lentamente. E ogni giorno che passa tra l’interesse e il carrello è un’opportunità in più per i competitor… o un rischio di abbandono.
Nel 2025 la sfida per i brand non è più presidiare un singolo canale, ma orchestrare un vero ecosistema di ricerca, dove Google, marketplace, social, AI generativa e negozi fisici convivono e si intrecciano. Questo richiede un cambio di mentalità: meno focus su click e impression, più attenzione a metriche come la fiducia guadagnata, la velocità della decisione e l’incrementalità delle vendite. Per arrivarci serve abbattere i silos interni, integrare marketing, e-commerce e customer care, e sviluppare competenze capaci di sfruttare l’AI come leva abilitante. In questo scenario, la ricerca non è più solo digitale: diventa conversazionale, visiva e distribuita. È qui che si giocherà la vera partita della comunicazione dei prossimi anni.
Una delle evidenze più forti dello studio è che oggi la ricerca pre-acquisto è davvero omnicanale. Non esiste più un solo touchpoint: l’utente passa da Amazon a Google, da TikTok a YouTube, fino al negozio fisico, in un percorso più simile a un flipper che a un funnel.
Qualche numero:
E poi ci sono i giovani: TikTok, Instagram e YouTube hanno già superato Google come luoghi di scoperta. Non per caso, ma perché offrono contenuti brevi, visivi e “nativi”, in linea con le aspettative della Gen Z.
I più giovani stanno riscrivendo le regole della ricerca. Se per anni la scoperta di un prodotto partiva quasi sempre da Google, oggi tra gli under 24 il percorso è molto diverso: TikTok, Instagram e YouTube sono i veri punti di riferimento. Qui la ricerca non è più intenzionale ma “spinta”: gli algoritmi anticipano bisogni e trend, mostrando video brevi, demo e tutorial che fanno nascere desideri prima ancora di digitare una query. A fare la differenza è il formato visivo, immediato e credibile, soprattutto quando arriva da coetanei o creator percepiti come autorevoli. Google resta sullo sfondo, ma perde fascino: i giovani lo usano meno, preferendo contenuti generati da altri giovani, in linguaggi e codici più vicini a loro.
In questo scenario lo smartphone resta il compagno di viaggio per eccellenza: il 75% degli italiani lo usa per informarsi e oltre la metà finalizza acquisti direttamente dal device. Il desktop mantiene un ruolo importante, soprattutto nelle fasi di valutazione più complesse, mentre il tablet resta marginale. La vera novità, però, è l’arrivo dell’AI generativa sui dispositivi mobili, che promette di trasformarli in strumenti ancora più intelligenti, capaci di offrire esperienze di try-on virtuale, comparazioni automatiche e consigli iper-personalizzati.
Per le aziende questo significa una cosa chiara: non basta presidiare un canale o due. Le decisioni si prendono in un ecosistema molto più ampio e frammentato. Limitarsi a Google o alla coppia Google+Meta non è più sufficiente: la partita si gioca anche sui social visuali, sugli assistenti AI e nei marketplace. Serve un’orchestrazione coerente di tutti i touchpoint, un filo narrativo unico che accompagni il consumatore in ogni fase, dalla scintilla iniziale fino alla scelta finale.
Se guardiamo il percorso che va dalla scoperta all’acquisto, è impossibile tracciare una linea retta. È un continuo avanti e indietro, fatto di accelerazioni e frenate, emozioni e confronti. Gli esperti lo chiamano messy middle.
Il messaggio è evidente: non basta esserci. Serve presidiare ogni fase del percorso con contenuti adeguati. All’inizio servono stimoli ispirazionali. Poi servono schede prodotto dettagliate, recensioni, video comparativi. Se mancano, il rischio è che l’utente molli.
E qui entra in gioco la grande novità del 2025: la ricerca generativa.
Il 13% degli italiani usa già ChatGPT per decidere cosa comprare, il 7% prova Google Gemini, il 4% Copilot. Sembrano percentuali piccole, ma lo scenario è cambiato da appena due anni: in un Paese tradizionalmente conservatore come l’Italia, è un dato enorme.
Non solo: il 47% degli intervistati considera questi strumenti “molto utili” e un altro 21% li definisce “fondamentali”. La fiducia è altissima.
Cosa significa in pratica?
E il futuro si chiama search shopping: acquistare direttamente dentro la risposta AI. Una rivoluzione che potrebbe spostare le metriche dal traffico al valore reale delle risposte.
Attenzione però: queste AI sono anche i nuovi guardiani della narrazione di marca. Possono raccontare il tuo brand basandosi su fonti esterne, non sempre aggiornate o corrette. E questo apre un tema enorme: come monitorare (e correggere) quello che l’intelligenza artificiale dice di noi?
Non esiste più la distinzione netta tra chi compra solo online e chi preferisce il negozio. Il comportamento è fluido.
Il 41% degli italiani dichiara di andare in negozio a toccare con mano, chiedere consiglio, ma poi acquistare altrove (spesso online).
Le implicazioni sono chiare:
Non cerchiamo più solo digitando. Oggi cerchiamo parlando e scattando foto.
Per i più giovani, la ricerca visiva è naturale, ereditata dalle abitudini social. Qui però c’è un problema: molti brand trascurano ancora la qualità delle immagini, limitandosi a e-commerce poco curati.
Ma le immagini non servono solo per la conversione: servono anche per la discoverability. Una foto ottimizzata con alt text e metadati è più “trovabile” da Google Lens, Pinterest o dagli stessi modelli AI.
Non tutte le fonti contano allo stesso modo. Il report evidenzia che gli elementi più influenti sono:
Molto meno impattanti invece i banner e gli spot tradizionali.
La fiducia oggi è decentralizzata. Prima si guarda il parere di altri consumatori, poi si cerca conferma sul sito del brand.
“Un’immagine vale più di mille parole” non è mai stato così vero. Nel 2025 i contenuti visuali sono il nuovo linguaggio della scoperta.
Per la Gen Z, Instagram e TikTok hanno già superato Google come prima fonte di ispirazione. Non con query digitata, ma con video brevi, outfit, tutorial, unboxing.
Un dato concreto: i prodotti che hanno un video dimostrativo sul sito convertono in media +30%.
Cosa significa per i brand?
Un altro dato chiave: il tempo medio tra scoperta e acquisto si è allungato. Non solo perché confrontiamo prezzi e aspettiamo sconti, ma perché c’è troppa informazione dispersiva.
Il report propone un nuovo KPI: la Decision Velocity.
Con tutta questa evoluzione, sorge spontanea una domanda: che ruolo avranno i siti di brand nel futuro della ricerca?
La risposta del report è chiara: i siti restano la stella polare. Per almeno due motivi:
La condizione è una sola: puntare sulla qualità, non sulla quantità. Testi chiari, immagini coerenti, schede prodotto complete.
Chiudiamo con i sette messaggi chiave dello studio:
La partita della ricerca non si gioca più solo su Google. È un’orchestrazione di ecosistemi: social, AI, marketplace, negozi fisici. In questo scenario vince chi riesce a presidiare i momenti chiave con contenuti di qualità, coerenti e integrati.
Non si tratta di inseguire ogni nuova piattaforma. Si tratta di ascoltare davvero i bisogni dei clienti e dare loro risposte utili, nel formato e nel luogo giusto.
Come recita il report, la ricerca non è più una destinazione ma un comportamento diffuso. E in un mondo dove la ricerca è ovunque, la differenza la fa chi sa farsi trovare con le risposte giuste.
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